Roma, 15 gennaio 2018 – Sempre più cittadini si rivolgono al web per avere risposte sulla propria salute. È quanto emerge dal questionario realizzato dal Centro medico Santagostino, secondo cui è il 97,6% degli italiani a interrogare “Dr. Google”. Dallo studio, in cui sono stati coinvolti 250 pazienti, emerge che il maggior numero dei clic su Google è per i sintomi (75,9%), mentre il secondo posto se lo aggiudicano le patologie (73,9%), il terzo i farmaci (67,6%), a cui seguono gli esami e l’interpretazione dei referti. La maggior parte degli intervistati, il 92%, dichiara di limitarsi a una ricerca passiva, astenendosi dal porre domande dirette in rete. Dai dati raccolti non sembrano riscuotere molto successo i forum di pazienti e i gruppi sulla salute: il 94,3% degli utenti, infatti, dichiara di non avervi mai partecipato direttamente. Per oltre metà del campione le informazioni reperite in rete sono ‘utili per farsi un’idea’, ma il 32% dei pazienti coinvolti ha dichiarato di aver bisogno di un ulteriore parere (non necessariamente di uno specialista) prima di procedere, mentre il 18% circa ha affermato di ricercare ulteriori informazioni in rete così da avere un confronto ancora più preciso. Nel 70,2% dei casi però è stato chiesto il parere del medico.” Quest’ultimo dato – commenta Michele Cucchi, psichiatra e direttore sanitario del Centro Medico Santagostino – ci fa tirare un sospiro di sollievo: fare delle auto-diagnosi on line può fare più male che bene. I motori di ricerca spesso forniscono informazioni irrilevanti, che possono portare ad una diagnosi sbagliata, ad un auto-trattamento sbagliato e a possibili danni per la salute. Il rischio – aggiunge Cucchi – oltre a quello di fare auto-diagnosi sbagliate, è di cadere nella ‘cybercondria’: se non si ottiene una diagnosi chiara dopo una ricerca, probabilmente si è tentati di continuare a cercare”.
AIOM: “Gli oncologi convocati da AIFA costretti alle dimissioni mai riunito il gruppo di lavoro, siano condivise le decisioni sui farmaci”
“Apprendiamo con rammarico che gli oncologi convocati dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) lo scorso gennaio per la prima riunione del gruppo di